
Eppure il concetto in sé – di forte
connotazione cattolica – appare inattaccabile: "è la virtù (afferma il Catechismo dellaChiesa Cattolica, n° 1806) che dispone la
ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a
scegliere i mezzi adeguati per compierlo".
Considero presuntuoso parlare di
‘vero bene’. E per esplicitare ciò mi avvalgo delle parole di Pier Cesare Bori,
deceduto in questi giorni: l'amicizia con
le persone e la ricerca del loro bene è più importante della verità teorica.
Non esiste il ‘vero bene’, bensì va ricercato il bene delle persone, che può
essere diverso da persona a persona, da situazione a situazione.
Contesto, soprattutto, l’uso
mistificato del concetto di ‘prudenza’. Esemplificativo è un commento su
Facebook: "è un rischio parlare di
fede a certe persone e in certi contesti. Farlo non può che essere una reazione
istintuale, una scivolata. L'avversione di certi 'salotti' alla fede fa da
filtro ad ogni pur sincera riflessione che risulta quindi intellettualmente
falsa. ... Prudenza". Ecco la distorsione di questo concetto: tenersi distanti tanto dall’‘emergente’ che dal ‘diverso’ perché
mettono in discussione l'ordine costituito, fino a minacciare l’identità. Trattasi
di paura allo stato puro, di se stessi e degli altri.
Paura, purtroppo, né assunta né
riconosciuta: ciò che è diverso, essendo percepito una minaccia, viene
rigettato nella categoria dell'errore, fino, in taluni casi, alla sua
negazione.
Ecco che la ‘prudenza’, così
malamente coniugata, arriva ad assume i beceri connotati dell’omertà, della
connivenza, dell’opportunismo; chiaro alibi per tenersi lontani da ogni riflessione
e pensiero funzionali per non toccare l’equilibrio in essere, mantenere immutato
l'esistente.
Foto: auguri dani
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