martedì 29 settembre 2015

La caducità dell'esistenza: non resta che "farsene una ragione"



I ripetuti affaticamenti dell'ultimo anno hanno accelerato la consapevolezza della caducità costitutiva dell'essere umano. Emergono sempre più debolezze, fragilità, vincoli e paure.
Forte è la consapevolezza che non posso più fare ciò che facevo un tempo: non ho più l'elasticità dell'adolescente, non ho più la capacità di recupero del ventenne, viene meno la solidità di quand'ero trentenne. Non sono e non sarò più come prima.

Ero il primo a lanciarmi, affrontando l'impervio con padronanza e destrezza, assumendo rischi oggi impensabili; l'incoscienza da una parte e la convinzione della capacità di reazione dall'altra concedevano disinvoltura e tranquillità. Ora non più: abbasso l'asticella del possibile, delimito e circoscrivo il confine del praticabile, evito ciò che potrebbe comportare conseguenze difficili da ricucire
E sarà sempre più così; anzi, da qui in avanti il fenomeno si amplierà e amplificherà. Declino fisico, recupero più lungo e difficile, rischio sempre più alto di improvviso tracollo, anche definitivo.
Si può solo sperare e provare a ridurre il rischio adottando strategie di mantenimento sia fisiche che psichiche, ma soprattutto è d'obbligo "farsene una ragione": accettare che "in fin dei conti è così", quel che deve accadere accade. Utilizzando le parole di Michael Caine: "cammino molto, non bevo più; non vado nelle SPA, non credo ai miracoli; lascio che il tempo scorra naturalmente, anche perché penso che nulla possa davvero rallentarlo. Il miglior modo di vivere gli anni che restano è vivere alla giornata, con la fortuna di aver vicino dei grandi affetti e poter ancora lavorare. Naturalmente con la fortuna di una buona salute". Sottoscrivo.

Foto: Lovers




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