Con questo epiteto osava chiamarmi Sisto: vecchio, scorbutico sacerdote del mio paese natale. Al di là della corrispondenza con la realtà, mi è sempre piaciuta questa denominazione: riusciva a catturare il dolore e la gioia della fragilità umana.
La fragilità mi accompagna: la vedo, l’osservo, l’ascolto, anche la respiro. La fragilità non è eccezione ma elemento costitutivo dell’essere umano: sempre presente, benché sopita e repressa. ‘Tutto’ è strutturalmente fragile, ma rara è la consapevolezza.
Sento il valore – usando le parole di Vittorino Andreoli – di ‘svelare la fragilità, di mostrarla […] come fosse la principale identificazione di uomo in questo mondo’. Ho la convinzione che nel suo riconoscimento, nel tentativo di guardarla in faccia si sveli ‘il dolore di sopravvivere contestualmente alla gioia di vivere’, ciò che Jean-Louis Trintignant rappresenta nel film “Amour” di Michael Haneke nell’interpretare il ruolo del vecchio marito che accompagna l'amata moglie malata verso la fine della vita.
La fragilità mi accompagna: la vedo, l’osservo, l’ascolto, anche la respiro. La fragilità non è eccezione ma elemento costitutivo dell’essere umano: sempre presente, benché sopita e repressa. ‘Tutto’ è strutturalmente fragile, ma rara è la consapevolezza.
Sento il valore – usando le parole di Vittorino Andreoli – di ‘svelare la fragilità, di mostrarla […] come fosse la principale identificazione di uomo in questo mondo’. Ho la convinzione che nel suo riconoscimento, nel tentativo di guardarla in faccia si sveli ‘il dolore di sopravvivere contestualmente alla gioia di vivere’, ciò che Jean-Louis Trintignant rappresenta nel film “Amour” di Michael Haneke nell’interpretare il ruolo del vecchio marito che accompagna l'amata moglie malata verso la fine della vita.