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La nascita conferisce
una condizione 'partigiana'.
Nasciamo e cresciamo
appartenenti ad una identità definita. Ciò è tanto rassicurante quanto
limitante. Io ne ho colto più la mancanza che il valore. Per questo ho provato
a mettere i piedi 'fuori'.
Osservando i miei
trascorsi intravedo il bivio che mi si è posto dinnanzi: accogliere lo statu
quo percorrendo la strada dispiegata, senza guardare oltre e senza porre
troppe domande, oppure volgere lo sguardo altrove provando a far entrare ciò
che c'è 'fuori'.
Ho provato a muovermi
in questa seconda direzione: mettere i piedi 'dove non si può' ma sempre con
cautela e attenzione, cioè rassicurando e facendo capire che nonostante tutto
mai avrei usato ciò che era 'fuori' per contaminare il 'dentro'. Talvolta ci
sono riuscito, altre volte meno.
Ho così fatto sosta tra coloro che sono considerati 'sbagliati': zingari e disabili, sia fisici e psichici, ma sarebbe stato lo stesso se avessi fatto capolino tra clandestini, accattoni, malviventi, anche militanti di religioni non istituzionali. Soprattutto, ho provato a dar credito che la vita di costoro avesse un senso e un significato, cercando di cogliere ragioni e logiche del loro essere e del loro fare. È stata una immersione nella diversità, che è altra cosa dal 'turismo del diverso' dove l''altro' è e rimane distaccato, dall'altra parte come visitatori allo zoo.
Ciò che siamo, ciò che
facciamo e anche ciò che diciamo non è mai un assoluto. Esiste sempre
qualcos''altro' che lo rende relativo. Anzi è questo 'altro' che abilità
l'evoluzione. Gli individui e le società possono pensare
di svilupparsi solo guardando 'oltre', 'fuori', mentre stando solo 'dentro', in modo autoreferenziale, si attua
una mera perpetuazione dell'esistente, destinandoci irreversibilmente ad uno
scollamento.
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