martedì 26 gennaio 2010

La sofferenza c'è ...

... E' parte costitutiva della vita. C'è dentro e fuori di noi.
Non è gradita, non piace, viene tenuta a bada; ma accade che trabocchi presentandosi 'nuda' di fronte a noi. E' drammatico viverla, ma anche solo doverle stare vicino, vedere e accompagnare il dolore altrui.
Ecco che non si può più far finta di nulla: viene a galla la compassione, la interdipendenza con gli altri, anche la corresponsabilità. Non possiamo tirarcene fuori.
Ma finché non viene superato quel limite ecco a portata di mano la possibilità di tener a bada ciò che è difficile sopportare. La negazione. Gian Antonio Stella, osservando la vicenda dei raccoglitori di Rosarno riscontra una specularità con il nostro (italiani) essere stati migranti nella prima metà del '900 e parla di rimozione, 'tutto dimenticato'. Risuonano le parole del Presidente Napolitano, nell'odierno memoriale della Shoah: "Non dimenticare è alto valore civile".
E anche quando viene superata la soglia - Michele Smargiassi prende ad esempio la rappresentazione mediatica degli eventi di Port au Prince – ecco la riduzione, la trasformazione del dolore in cliché, con conseguente assuefazione e anestesia della compassione.
E' difficile navigare nella vita, abitare e sentire la realtà.

sabato 9 gennaio 2010

La diversità non va negata ...

... ma nemmeno accolta a prescindere.
La capacità umana di riconoscimento e contenimento della diversità è limitata. Fa quel che può. E il grado di capacità dipende sia dallo 'capienza' individuale, sia dalla 'disponibilità' del contesto sociale, politico, economico e culturale. L'ho provato sulla mia pelle nello stare vicino agli zingari: il 'senso e il significato' dello stare con queste persone sono emersi a partire dal momento in cui ho accettato e vissuto la relazione con l'altro alla 'giusta distanza' (naturalmente il metro del 'giusto' non può che essere soggettivo).
Tale questione risuona nel dibattito di queste settimane a partire dal tema della cittadinanza agli stranieri. L'avvio è una provocazione di Giovanni Sartori seguita - per citare le più rilevanti - dalle considerazioni di Tito Boeri, di Sergio Romano, per arrivare al commento di Angelo Panebianco.
L'importanza - per me - di questi contributi (allego il primo e l'ultimo in ordine temporale) ruota attorno a due concetti. Il primo. L'esplicitazione della legittimità dei diversi sentire verso lo straniero: coloro che lo gradiscono (xenofilo), come coloro che non lo gradiscono (xenofobo). E' legittimo e 'naturale' provare difficoltà nei confronti di ciò che è estraneo (naturalmente altra cosa è agirci contro). Il secondo. La stigmatizzazione della posizione ideologica che porta all'assunzione acritica di una posizione: l'immigrazione è cattiva, l'immigrazione è buona. L'immigrazione non è né buona né cattiva, è un fenomeno che ci coinvolge, che ha assunto dimensioni rilevanti e che quindi bisogna tentare di capirla e, per quel che si può, gestirla.