domenica 19 febbraio 2012

Affrontare, digerire la 'decrescita'

È ufficiale l’Italia è in recessione.
Da qualche anno mi accompagnano i temi della decadenza e del declino; sono venuti chiaramente alla luce nel corso dell’estate 2008 durante un viaggio che mi ha portato ad attraversare l’Europa: al confronto con gli altri paesi l’Italia appariva ferma, immobile, alla deriva. Una condizione che si è trascinata fino alla seconda metà del 2011. Poi, sotto i colpi dell’opinione pubblica, soprattutto internazionale, è svanita l’illusione del paese benestante, dei ristoranti pieni, della fatica a prenotare un posto sugli aerei, abbattuta a suon di spread e delegittimazioni.
Ora il modo di affrontare le questioni è cambiato, ma la sostanza rimane la medesima. Che cosa succederà?
Probabilmente non precipiteremo come la Grecia, ma permane il rischio di ritrovarci progressivamente nella medesima situazione.
È evidente che stiamo vivendo un passaggio epocale: ci sarà un prima e un dopo questa fase storica.
Accanto all’inadeguatezza della classe politica italiana ad affrontare l’emergenza, accanto alla supplenza dei ‘professori’ - che accolgo con sollievo -, registro la cecità e la tolleranza degli italiani.
Se oggi corruzione ed evasione vengono rappresentati da tutti come l’origine di tutti i mali, non bisogna scordare che fino a 100 giorni fa noi italiani ci siamo fatti governare da persone indagate per corruzione e che hanno ripetutamente legittimato l’evasione. Non possiamo fare finta che tutto questo non sia accaduto, come non possiamo registrare il perdurare della vana speranza di aver già raggiunto il fondo e che non resti che la risalita.
La realtà viene negata il più possibile, accolta solo qualora risulti ineludibile, inoppugnabile.
In questa situazione quale è la funzione di Mario Monti? Rimettere l’Italia e – come riporta il Time – l’Europa sui binari della salvezza? Oppure accompagnare gli italiani a ricollocarsi in basso, in una logica di riduzione del danno?
Non mi preoccupa la decrescita, piuttosto se e come saremo in grado di affrontare questo transito che, come ripetutamente è successo nella storia, potrà condurci alla deriva ovvero aprire una nuova fase, e non solo economica.
Dover retrocedere, fare passi all’indietro, significa ridimensionare i progetti, rivedere gli stili di vita, abbassare le aspettative, ma rappresenta anche l’occasione per selezionare e scegliere ciò che è importante rispetto a ciò che lo è meno, provare quindi a tracciare nuove strade.
Non ci resta che ciò; approfittiamo di questa opportunità.


3 commenti:

  1. Ma davvero, non ci resta che questo? Io direi che ci resta qualcos'altro: la possibilità di sfruttare la crisi che attanaglia e tanto più attanaglierà la società per trascinare nella comune rovina chi ci ha portati a questo sfascio.

    Che pia dottrina quest'esistenzialismo popolare delle piccole cose e dei buoni sentimenti, che partendo dall'interiorità individuale si sente perso nel vasto mondo, e dà per acquisite le dinamiche dello sviluppo storico!

    Lei pensa forse che nei luoghi dove si decidono i nostri destini, nelle centrali della dittatura dell'alta finanza e dell'impero statunistense, si ragioni in questi termini? O non crede invece che ivi ci si sforzi con fervida energia e fanatica determinazione di orientare la corsa del mondo a proprio vantaggio?

    Lei inventa il possibile del suo sentire interiore, loro inventano la realtà del nostro immiserimento quotidiano. E se ne pappano i frutti a suon di bonus miliardari. Ed ecco le anime semplici in vena di masturbazione interioreggiante, inebetite dai media di regime e dalle prediche della superstizione giudaica, venirci a dire che dobbiamo prendere per buona questa situazione perché ai loro occhi concentrati sulle piccole cose "non c'è alternativa" (come dice il boia di Bruxelles messo al governo dai poteri forti), anzi bisogna vivere lo smantellamento del nostro benessere come "un'opportunità" per ripensare la nostra interiorità.

    Si coglie l'eco dei belati evangelici: beati gli ultimi sulla terra perché più calci in culo prendono più più intensamente vivranno il proprio patire, e così discopriranno squarci sul loro essere sofferente in fondo a cui albeggia il contatto con un punto di trascendenza celato in ogni essere creaturale. E via castroneggiando.

    Io credo che sia tardi per fermare lo sfacelo della globalizzazione, ma non è tardi per approfittare delle sue gigantesche contraddizioni allo scopo di distruggere il sistema. Il mondo sta marciando verso il collasso economico, e questo sarà foriero di nuove e più gigantesche guerre; le guerre si possono perdere; e nelle guerre mondiali perdute intere civiltà possono tracollare, e con loro le classi dirigenti - fra le più miopi e corrotte che la storia abbia mai conosiuto - che ce le hanno condotte.

    Se un giorno Monti, la Fornero o uno dei loro mandanti si troveranno davanti al corpicino straziato di un loro nipotino che ha perso occhi e gambe su una mina, riterrò che si sia "approfittato" appieno delle "opportunità" che la loro opera ci ha presentato.

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  2. @Lorenzo.
    Ognuno fa quel che può. Anche io.
    Non pretendo di possedere la verità, ma ritengo di avere il diritto di detenere un punto di vista, anche se limitato e parziale.
    E' una mia scelta esporlo, quindi mi assumo la responsabilità di ciò che provoco: la condivisione come il disgusto, l'approvazione come il dissenso, il piacere come la rabbia.
    Rispetto al contenuto evidenzio che non sono un economista e mi limito a registrare semplicemente quello che vedo e, soprattutto, quello che sento. In questo caso mi soffermo sul ridimensionamento in atto. Ho la presunzione di fissare dei fenomeni, provare a coglierne istanze e connotazioni, attratto come sono dalla discontinuità, dall'emergente … con tutti i rischi e le possibilità.
    Vedo il valore dell'affrontare rispetto a quello del divagare … che non significa agire in ogni caso; colgo l'importanza del farsi carico rispetto al tergiversare … che non significa necessariamente non attendere.
    Io mi limito a muovermi dentro tale perimetro … nulla di più.

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  3. Certamente. La mia voleva essere una critica radicale, non una delegittimazione o un tentativo di imporLe il silenzio.

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