giovedì 25 febbraio 2010

Mi ripeterò, ma continuo ...

... a sentire il bisogno di trovare vie di fuga dal torpore dell'indistinto che mi circonda. Il dolore - afferma Ilvo Diamanti - si mischia alla speculazione, la tragedia alla corruzione, il pianto è interrotto dalle risa.
Rischiamo di diventare consumatori di avvenimenti o di tragedie, senza che queste ci interroghino, lascino una traccia nella nostra vita. Rischiamo l'assuefazione, anche la rassegnazione, cioè di non sentire le 'cose', né nel cuore, né nello stomaco, né nella mente. Forse siamo già in questa condizione.
Ma non possiamo considerarci solo delle vittime, risultiamo corresponsabili. Questa condizione è anche comoda. Ci toglie un certo imbarazzo. L'assuefazione è funzionale a non sentire le grida degli uomini, la retorica della condivisione e della solidarietà soffoca i sensi di colpa.
Non rimane che tenere i piedi nella realtà, nella vita degli uomini e delle donne. Ci prova Elvira Dones rispondendo al premier italiano di fronte all'ironia sulle 'belle ragazze albanesi'.

lunedì 8 febbraio 2010

Ciao ragazzi. Oppure ...

... colloquialmente, ciao raga.
Questo modo di esprimersi è diventato usuale tra adulti. Trentenni, quarantenni, cinquantenni, anche sessantenni che vicendevolmente si appellano con il termine 'ragazzo' o 'ragazza'.
Benché vicino ai quarant'anni, non mi ritengo un ragazzo! Rivendico, con tutti i miei limiti, lo status di uomo.
Il Sabatini Coletti, solo per citare un riferimento, associa al termine ragazzo il significato di 'uomo giovane di età compresa fra l'adolescenza e la giovinezza'.
Perché si è diffuso un uso di questo termine così dissociato dall'originale significato?
Michela Marzano parla di jeunisme trionfante: la giovinezza come una sorta di 'imperativo categorico' alla quale ci si deve conformare, se non si vuole essere marginalizzati. Ciò comporta l'attenzione ossessiva al corpo, alla immagine fisica, l'autrice arriva a parlare di nuovo 'oppio dei popoli'.
L'autrice fa una ipotesi interessante: è l'incertezza del 'fuori' che ci sta spingendo 'dentro', su noi stessi, e - aggiungo io - risulta più facile soffermarsi sulla forma (fisica) che sulla sostanza. Come se l'esercizio del controllo del corpo permettesse di combattere l'ansia e l'insicurezza sociale; come se esistesse una funzione di rewind della vita che permetta di rivivere suoi passi, sperando magari di riparare ad errori già commessi.
In questo modo viene bandita la successione delle fasi della vita e soprattutto la vecchiaia: mostrare di aver 'consumato' un pezzo della vita è diventato quasi osceno. Il corpo perde sempre più la funzione di memoria, di storia che passa e lascia i suoi segni, anche le sue cicatrici.