domenica 19 giugno 2011

Decadimento fisico

Il tempo lascia i suoi segni. Li depone in ogni forma della natura, ancor più negli esseri viventi tra cui l’essere umano. Il decadimento fisico inizia quando si è ancora ventenni.
Osservo i volti di coloro che si muovono attorno a me e vedo i segni del tempo e della vita: il raggrinzimento della pelle prende il sopravvento sull’originaria freschezza, l’appesantimento delle membra tradisce l’antico slancio e tono. Lo scenario si intristisce. Gravano più le sollecitazioni della vita che l’esposizione al tempo: il vissuto preme sulle ossa, erode i tessuti, lasciando tracce e solchi sempre più evidenti.
Allo stesso modo assisto al cambiamento del mio corpo che progressivamente degenera e decade, vengono meno forze ed energie. Il bagaglio esperienziale compensa, rallenta la percezione dei processi di consunzione, permette una gestione sempre più oculata di ciò che c’è.
L’essere umano è dentro un lento e progressivo processo di decadimento, fenomeno costitutivo dell’essere vivente: dopo la generazione e lo sviluppo segue la degenerazione.
Ma è una realtà diffusamente rigettata, anche negata: ingannata linguisticamente, ritardata ad ogni costo, celata da drappi e tinte e, più recentemente, contraffatta chirurgicamente; ovvero, è una realtà che si lascia ammaliare da effimere e consolatorie chimere.
Prevale la collusione collettiva che spinge molti a coltivare l’illusione di fermare il tempo a tutti i costi, talvolta, paradossalmente, anche a costo di fermare la vita.
È pur vero che si possono contenere alcuni effetti del tempo, la medicina e la tecnica hanno rallentato alcuni processi, ma è impossibile e velleitario interromperne il decorso. Il tempo fa il suo corso e porta via con sé tutto e tutti, chi prima e chi dopo, chi meglio e chi peggio.
Si può far diversamente? È possibile vivere esteticamente esponendo ciò che è e si è senza timori e vergogna: il grigio dei capelli, il volto segnato, il passo incerto, … e poi la malattia e, infine, la morte?
Invecchiare è ineluttabile. In sé non è un problema, perché non può essere diversamente. La sfida è accettare di essere dentro questo processo, vivere quotidianamente il suo decorso, per quello che è.

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