giovedì 16 agosto 2007

Marco Revelli è un osservatore attento ...

... di ciò che avviene al 'margine'. Il 'margine' come sintomatico del 'macro'; il rapporto con gli zingari, in particolare, suo sensibilissimo indicatore. Per me, che scrivo, è ancor più forte tale sollecitazione perché l'esperienza di affiancamento agli zingari è parte della mia storia.
Il punto di partenza è la morte, in un rogo di una baracca a Livorno sotto un cavalcavia, di 4 bimbi rom [Morti perché per loro non c'è spazio]. Marco Revelli, a partire da tale evento evidenzia, a partire dall'analisi delle pubbliche reazioni, l'emergente antropologia del disprezzo e il rischio di una disumanizzazione di massa nel mancato incontro con l'altro. Parla di veri e propri veleni in agguato.
Per chi volesse approfondire il tema, accennato nel primo articolo, della 'nuda vita', allego un saggio del 2005 dello stesso Revelli [Le discariche dell'umano]. L'autore descrive in modo molto efficace tale stato: La ‘vita nuda’ è una massa immobile di carne, informe senza volto, totalmente ‘affidata’ agli altri, estranei, nei luoghi degli altri, ‘esposta’. È la vita che non può vivere una ‘vita propria’. La vita che non ‘si appartiene’, perché negata nei suoi fondamenti identificanti, privata della stessa continuità temporale (nulla ‘prima’ e nulla ‘dopo’, né madre né figli…).