Vivo con disagio ogni qual volta mi imbatto in situazioni ove non appare corrispondenza tra qualità della persona, posizione ricoperta e stile di vita; situazioni rese possibili solo in virtù d’altro o d’altri, non ‘di ciò che si è’. Sono molte e diffuse, piccole e grandi; sono sotto gli occhi di tutti, quotidianamente. Legittime, legali ma assolutamente improduttive, talvolta anche ingiuste.
‘La ricchezza è un valore, ma se è il risultato del merito, non di rendita ed evasione’.
Questa dichiarazione del Presidente del Consiglio rappresenta una ‘pietra miliare’. Mi piace tradurla nel seguente modo: è opportuno che le risorse disponibili, tutti i tipi di risorse, materiali e immateriali, siano gestite da persone che si distinguono per capacità e onestà, non per mera ‘appartenenza’ o per violazione della legge (bello a tal proposito l’articolo di Saviano su Cosentino).
Insomma tale dichiarazione osa mettere su piani assimilabili rendita e illegalità: la posizione di coloro che fruiscono di occasioni, condizioni e beni per il semplice fatto di aderire a qualcuno o qualcosa, con quella di coloro che adottano modalità di azione illecite.
La rendita non favorisce la buona gestione delle cose, non contribuisce alla crescita, umana, economica e sociale, consuma ‘valore’ senza riprodurlo. La rendita è un parassita.
È un segnale incoraggiante la pubblicizzazione di questo principio, impensabile fino a qualche mese fa. Sarebbe bello che la culturale emergente acquisisse tale visione; sarebbe bello che ‘la rendita’, più che da rassegnazione o invidia, fosse contrassegnata da sdegno e vergogna. Ma mai da vendetta.
Di contro bisogna tenere alta l’attenzione a non scadere nel mero elogio dei meritevoli, dei più dotati di risorse personali, per focalizzarsi piuttosto sul valore della ‘misura’ e della ‘compensazione’: legittimare ciò che è stato conquistato con le proprie forze, sostenendo parimenti chi si trova a disporre di limitate risorse personali.
La rendita c’è, non si può eliminare, bensì arginare, limitare, forse calmierare.
‘La ricchezza è un valore, ma se è il risultato del merito, non di rendita ed evasione’.
Questa dichiarazione del Presidente del Consiglio rappresenta una ‘pietra miliare’. Mi piace tradurla nel seguente modo: è opportuno che le risorse disponibili, tutti i tipi di risorse, materiali e immateriali, siano gestite da persone che si distinguono per capacità e onestà, non per mera ‘appartenenza’ o per violazione della legge (bello a tal proposito l’articolo di Saviano su Cosentino).
Insomma tale dichiarazione osa mettere su piani assimilabili rendita e illegalità: la posizione di coloro che fruiscono di occasioni, condizioni e beni per il semplice fatto di aderire a qualcuno o qualcosa, con quella di coloro che adottano modalità di azione illecite.
La rendita non favorisce la buona gestione delle cose, non contribuisce alla crescita, umana, economica e sociale, consuma ‘valore’ senza riprodurlo. La rendita è un parassita.
È un segnale incoraggiante la pubblicizzazione di questo principio, impensabile fino a qualche mese fa. Sarebbe bello che la culturale emergente acquisisse tale visione; sarebbe bello che ‘la rendita’, più che da rassegnazione o invidia, fosse contrassegnata da sdegno e vergogna. Ma mai da vendetta.
Di contro bisogna tenere alta l’attenzione a non scadere nel mero elogio dei meritevoli, dei più dotati di risorse personali, per focalizzarsi piuttosto sul valore della ‘misura’ e della ‘compensazione’: legittimare ciò che è stato conquistato con le proprie forze, sostenendo parimenti chi si trova a disporre di limitate risorse personali.
La rendita c’è, non si può eliminare, bensì arginare, limitare, forse calmierare.
Foto: Cinque lire cinque!
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