Sono consapevole delle fasi della vita.
Osservo ciò che ho attraversato: i primi decenni in preparazione di ciò che sarebbe potuto avvenire, il tempo della ‘riproduzione’, di seguito la fase pubblica e sociale. Finirà anche questa, prima o poi. Ed essa con me, prima o poi.
Percorro questo cammino provando – per quel che mi è possibile – a ‘mettere del mio nelle cose della vita’, conquistando progressivamente spazi di azione ed espressione, ambendo a fare un po’ tutto bene: dal marito al padre, dal professionista al cittadino. La corsa appare accorta, progressiva, per ora senza particolari contrattempi.
Mi è stato concesso molto.
Ho dovuto sperimentare: scivolare rovinosamente e vincere clamorosamente, ma soprattutto fare un passo alla volta attendendo che il tempo faccia il suo corso, la debita selezione, l’opportuna ‘digestione’.
Ho dovuto mediare: bilanciare interno con esterno, equilibrare personale con professionale, mettere insieme familiare con sociale. Difficile, talvolta impossibile.
Ho maturato la convinzione che il nostro contesto di vita autorizza e valorizza ciò che ‘produce’, ciò che è capace di erogare prestazioni o realizzare prodotti riconoscibili, vendibili. Tutto il resto è optional: se c’è bene, altrimenti pazienza. Vengono messe da parte, trascurate, marginalizzate, talvolta anche disprezzate, ‘praterie’ di valore, culturale, elaborativo, emotivo e affettivo.
Dopo aver impiegato energie e tempo a riempire di senso e significato ciò che sono e ciò che mi contorna, sento il valore dell’‘improduttività’: ‘azioni quotidiane, gesti ripetuti fino a diventare ritualità domestica’; dopo essermi prodigato per costruire e delineare una identità, personale e sociale, sento la necessità di perdermi in comuni appartenenze; dopo aver fatto molto per slegarmi dai lacci del localismo, sento potente il richiamo della mia terra, delle mie radici; dopo essermi svincolato dagli obblighi morali e culturali, ‘sento la necessità di riaprire la porta al senso del dovere’.
La corsa a riempire tutto e tutti è funzionale ad incrementare il PIL, ma anche a coprire il vuoto dell’esistenza. Collusione fantastica: ‘ricchezza della nazione’ e ‘oblio della vita’.
Osservo ciò che ho attraversato: i primi decenni in preparazione di ciò che sarebbe potuto avvenire, il tempo della ‘riproduzione’, di seguito la fase pubblica e sociale. Finirà anche questa, prima o poi. Ed essa con me, prima o poi.
Percorro questo cammino provando – per quel che mi è possibile – a ‘mettere del mio nelle cose della vita’, conquistando progressivamente spazi di azione ed espressione, ambendo a fare un po’ tutto bene: dal marito al padre, dal professionista al cittadino. La corsa appare accorta, progressiva, per ora senza particolari contrattempi.
Mi è stato concesso molto.
Ho dovuto sperimentare: scivolare rovinosamente e vincere clamorosamente, ma soprattutto fare un passo alla volta attendendo che il tempo faccia il suo corso, la debita selezione, l’opportuna ‘digestione’.
Ho dovuto mediare: bilanciare interno con esterno, equilibrare personale con professionale, mettere insieme familiare con sociale. Difficile, talvolta impossibile.
Ho maturato la convinzione che il nostro contesto di vita autorizza e valorizza ciò che ‘produce’, ciò che è capace di erogare prestazioni o realizzare prodotti riconoscibili, vendibili. Tutto il resto è optional: se c’è bene, altrimenti pazienza. Vengono messe da parte, trascurate, marginalizzate, talvolta anche disprezzate, ‘praterie’ di valore, culturale, elaborativo, emotivo e affettivo.
Dopo aver impiegato energie e tempo a riempire di senso e significato ciò che sono e ciò che mi contorna, sento il valore dell’‘improduttività’: ‘azioni quotidiane, gesti ripetuti fino a diventare ritualità domestica’; dopo essermi prodigato per costruire e delineare una identità, personale e sociale, sento la necessità di perdermi in comuni appartenenze; dopo aver fatto molto per slegarmi dai lacci del localismo, sento potente il richiamo della mia terra, delle mie radici; dopo essermi svincolato dagli obblighi morali e culturali, ‘sento la necessità di riaprire la porta al senso del dovere’.
La corsa a riempire tutto e tutti è funzionale ad incrementare il PIL, ma anche a coprire il vuoto dell’esistenza. Collusione fantastica: ‘ricchezza della nazione’ e ‘oblio della vita’.
Foto: IL POSTO VUOTO
Che bello questo diario (blog), che scopro oggi... Esistenzialista, poetico, gentile, con un linguaggio da filosofia post-moderna che altrove non mi piace, ma qui è pieno di contenuti. Anomalo per l'Italia, dove i toni prevalenti sono il sarcasmo e la volgarità. Complimenti
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