È l’accalorata esortazione di Simone Pianegiani, c.t. della nazionale di pallacanestro, ai suoi giocatori nel corso del time out dell’incontro contro Israele di qualche giorno fa: “Bisogna giocare con un po’ di dignità! Con un po’ di anima! Facciamo a cazzotti, almeno. Ma che cazzo avete dentro!?”
Osservo me stesso e chi mi sta attorno. Che piaccia o meno ogni cosa è espressione delle persone: fatti e parole, ma anche atteggiamenti e artefatti, ciò che contorna e adorna. Tutto.
L’aspetto più ambiguo è la parola: non è detto che ciò che esce dalle nostre labbra corrisponda a ciò che siamo e facciamo; spesso non diciamo proprio nulla, evitiamo, non ci sbilanciamo, anche ci nascondiamo.
Ho una maniacale attenzione nei confronti della parola. Mi piace la parola di realtà, quella rispettosa del sentire e del pensare, quella che si coniuga bene a comportamenti e azioni. Quella capace di evidenziare sia le risorse che i limiti. È bello quando ciò accade. Ecco il linguaggio della realtà, forse della ‘verità’.
Fatico, invece, a reggere il linguaggio distorto, disconnesso dalla realtà dei fatti. Mi capita spesso di percepirlo. E quando capita, provo a starmene fuori, non farmi coinvolgere; ma se ‘non posso’ mi attengo alle buone maniere: “Ciao. Come stai? Bene. E tu? Bene.” Oppure me ne sto fermo in silenzio. Null’altro, nulla di più. Attendo di passare oltre: altri incontri, altre parole.
Fatico anche a trattenere il giudizio nei confronti di coloro che si adeguano a tale costume. Scilipoti è diventato l’emblema della disinvoltura a ‘conoscere e disconoscere’, a ‘dire e disdire’, fino a negare l’evidente. Senza pudore. Usando le parole di Roberta De Monticelli: “Mi mancano quasi le parole per articolare il disgusto per quelle persone che si arrogano il diritto di parlare di fronte ai cittadini dopo averne sbeffeggiato la dignità”.
Più che disgusto provo tristezza. È triste assistere al tradimento del sé: dare in concessione se stessi, al miglior offerente, delegare le proprie sorti in cambio di una identità contraffatta ovvero benefici non raggiungibili con le proprie energie. È triste soprattutto la scelta di abdicare alla propria identità, di disconoscere la propria bellezza per riflettere quella altrui.
Mentre il contesto sociale ed economico traballa e fatica a trovare vie d’uscita, rimaniamo avviluppati in un torpore immobilizzante. Non possiamo più permetterci di rimanere in questo stato.
È tempo di reagire a questo vuoto e a questa negazione dell’umanità. Come scrive Ferruccio De Bortoli, “il tempo delle parole vuote è finito, facciamo uno sforzo di verità", ovvero – riprendendo le parole di Pianegiani - è il tempo di ‘giocare con un po’ di dignità’.
Foto: Nè inerzia nè capriccio ma necessità e vita!
Osservo me stesso e chi mi sta attorno. Che piaccia o meno ogni cosa è espressione delle persone: fatti e parole, ma anche atteggiamenti e artefatti, ciò che contorna e adorna. Tutto.
L’aspetto più ambiguo è la parola: non è detto che ciò che esce dalle nostre labbra corrisponda a ciò che siamo e facciamo; spesso non diciamo proprio nulla, evitiamo, non ci sbilanciamo, anche ci nascondiamo.
Ho una maniacale attenzione nei confronti della parola. Mi piace la parola di realtà, quella rispettosa del sentire e del pensare, quella che si coniuga bene a comportamenti e azioni. Quella capace di evidenziare sia le risorse che i limiti. È bello quando ciò accade. Ecco il linguaggio della realtà, forse della ‘verità’.
Fatico, invece, a reggere il linguaggio distorto, disconnesso dalla realtà dei fatti. Mi capita spesso di percepirlo. E quando capita, provo a starmene fuori, non farmi coinvolgere; ma se ‘non posso’ mi attengo alle buone maniere: “Ciao. Come stai? Bene. E tu? Bene.” Oppure me ne sto fermo in silenzio. Null’altro, nulla di più. Attendo di passare oltre: altri incontri, altre parole.
Fatico anche a trattenere il giudizio nei confronti di coloro che si adeguano a tale costume. Scilipoti è diventato l’emblema della disinvoltura a ‘conoscere e disconoscere’, a ‘dire e disdire’, fino a negare l’evidente. Senza pudore. Usando le parole di Roberta De Monticelli: “Mi mancano quasi le parole per articolare il disgusto per quelle persone che si arrogano il diritto di parlare di fronte ai cittadini dopo averne sbeffeggiato la dignità”.
Più che disgusto provo tristezza. È triste assistere al tradimento del sé: dare in concessione se stessi, al miglior offerente, delegare le proprie sorti in cambio di una identità contraffatta ovvero benefici non raggiungibili con le proprie energie. È triste soprattutto la scelta di abdicare alla propria identità, di disconoscere la propria bellezza per riflettere quella altrui.
Mentre il contesto sociale ed economico traballa e fatica a trovare vie d’uscita, rimaniamo avviluppati in un torpore immobilizzante. Non possiamo più permetterci di rimanere in questo stato.
È tempo di reagire a questo vuoto e a questa negazione dell’umanità. Come scrive Ferruccio De Bortoli, “il tempo delle parole vuote è finito, facciamo uno sforzo di verità", ovvero – riprendendo le parole di Pianegiani - è il tempo di ‘giocare con un po’ di dignità’.
Foto: Nè inerzia nè capriccio ma necessità e vita!
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