La ‘storia’ che viviamo appare colpita a morte, dentro un disfacimento che accelera giorno dopo giorno. È irrimediabilmente rotto il ‘ritmo delle cose’. Ogni intervento, presentato come risolutivo, si consuma nel nulla senza un effetto sostanziale. Siamo arrivati a mettere in discussione ciò che è sempre stato considerato un punto di non ritorno: l’illusione dello sviluppo ha lasciato il posto alla decrescita. Cominciano ad essere intaccate le disponibilità economiche e con esse il potere di acquisto. Ora ci attente una stretta sui servizi pubblici. E siamo solo all’inizio.
Siamo avviati inesorabilmente verso la chiusura di una fase storica, forse di un’epoca.
Destabilizzazione e disorientamento sono i sentimenti preponderanti. Il sistema politico, con in testa il Presidente del Consiglio, ne è l’emblema. È imbarazzante ciò che sta accadendo, ma vivo con ancor più disagio l’impotenza che si respira. Infatti, la questione non è solo politica, bensì riguarda l’intera società civile di cui la politica è espressione. Anzi ho la sensazione che si approfitti del clamore delle vicende berlusconiane per rimanere nascosti, ‘celare le proprie vergogne’. Consapevoli o meno si sta a questo gioco perché è più facile rimanere nel ‘così fan tutti’, ovvero colludere con coloro che hanno in mano il potere, piccolo o grande che sia. E, come ricorda Barbara Spinelli, “anche l’omissione è complicità”.
Il problema è come viene abitata questa discontinuità, tra l’altro inevitabile e incontrovertibile, non tanto il venir meno degli equilibri. Ernesto Galli Della Loggia parla della persistenza di un “immane blocco sociale conservatore il cui obiettivo è la sopravvivenza e l'immobilità. Nulla deve cambiare”. Un aggregato variegatissimo di persone che sta tenendo in mano le redini del gioco senza incontrare significativi ostacoli. Viene lasciato libero di agire indisturbato. Mentre sullo sfondo si fanno vedere solo i professionisti dell’indignazione oppure i disperati, quelli che non hanno più nulla da perdere perché non sanno più a chi rivolgersi.
Dove sono tutti gli altri? Perché non si insinuano nelle brecce dell’emergente discontinuità? Forse non sono maturi i tempi? Forse deve compiersi la necessaria ‘rottamazione’? È ancora tempo di attendere?
Nel timore, osservo fiducioso. La discontinuità è rivelatrice, apre nuove prospettive, permette di vedere altro, assumere punti di vista diversi, aprire nuovi scenari. Crea spazio e occasioni. L’impensabile diventa pensabile, l’intoccabile toccabile, l’impossibile possibile … e questo è affascinante.
Attendo e mi preparo. Reinterpretando un passo evangelico: “mi attrezzo con le riserve d’olio in attesa della festa”.
Foto: Rocca lanzona
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