mercoledì 6 aprile 2011

Le ragioni dell’altro nel ‘regime di cristianità’

Sono nato e cresciuto nel 'regime di cristianità'. Ne sono stato anche un esponente, ricoprendo ruoli che ho provato ad esercitare al meglio, per quel che ho potuto e finché ci sono riuscito.
Quello che sono è frutto di questa storia che vivo con ambivalenza e disorientamento, talvolta con imbarazzo. Mi risuonano forti le parole di Vasco Rossi riportate in una recente intervista: "Io vengo da un’educazione cattolica ed è andato tutto bene fino a quando a dodici anni sono andato in un collegio di preti e ho conosciuto l’istituzione Chiesa: lì è saltato tutto".
Io non ho fatto saltare nulla, ma sento chiaro il rischio di deragliare: i binari non sono idonei a farmi proseguire. E di fronte al cieco trascinamento di ciò che si è sempre fatto, ovvero di fronte all’ostinazione a continuare come se nulla fosse accaduto, ho mollato la presa. Mi sono fermato. Rimasto sulla soglia, impietrito e impotente, assisto al lento e inesorabile venir meno dei riferimenti di una vita, i miei e quelli di coloro che mi hanno preceduto, di generazione in generazione.
È triste osservare la testardaggine e la cecità a continuare come se – riprendendo Bartolomeo Sorgela popolazione fosse ancora tutta credente ed evangelizzata, come se i valori morali cristiani fossero tuttora condivisi dalla stragrande maggioranza della gente. Non è così.
È inutile marcare la differenza tra credenti e non credenti; è inutile affrontare in modo assoluto una realtà che sfugge, che esprime tutta la sua relatività. È più utile fare un passo indietro, spogliarsi di qualche certezza e ripartire dalla banale distinzione tra pensanti e non pensanti, in particolare dando risalto – come afferma Piero Stefania coloro che danno spazio dentro di sé alle ragioni dell’'altro', e non per consegnarsi all’incertezza, ma per render più mature le proprie convinzioni.
Non sono né deluso né rassegnato. Alla delusione affianco l’accettazione, alla rassegnazione la speranza che al disorientamento possa seguire qualcosa di nuovo.
È il tempo dell’attesa. Non resta che rispettarlo e viverlo per ciò che è.

1 commento:

  1. Marco Di Benedetto07/04/11, 14:02

    "vivere tra ribellione e adesione...tra resistenza e resa.." Ieri sera Vito Mancuso mi ha scritto che questo gli sembra un equilibrio da cercare sempre..
    Io condivido in pieno, al 100% le tue riflessioni, e da prete cerco di vivere in direzione ostinata e contraria. Molti si scandalizzano perché non mi vesto da prete e a chi mi chiede il perché rispondo che così sono più libero di ascoltare gli altri, le loro ragioni, le loro intuizioni, le loro attese e i loro dolori. Ogni giorno sono a contatto, qui a roma, con espressioni misere di disonestà intellettuale da parte di esponenti di alto livello nella gerarchia che contagiano anche moltissime (più di quanto si creda) testine da soldatino di giovani "reclute"...è da rimanere imbarazzati a volte di fronte all'impermeabilità di chi ha risposto all'invito di Gesù di lasciare ogni cosa interpretandolo con un invito a rinunciare prima di tutto all'intelligenza e alla coscienza personale (cosa che - mi risulta - Gesù NON ha chiesto).
    Ma poi è bello scoprire che c'è una rete di legami intelligenti, di persone pensanti che hanno a cuore un nuovo modello di realtà...Scriveva l'architetto Richard B. Fullerm "Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta". Per quanto riguarda la presenza della Chiesa nel mondo il Concilio Vaticano II aveva effettivamente creato un modello nuovo...stanno facendo di tutto per abortirlo..questa è la tristezza. Ma tra resistenza e resa...continuiamo a sognare!
    Un abbraccio!
    Marco

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