Certo le circostanze non sono favorevoli ...
e quando mai?
bisognerebbe … bisognerebbe niente
bisogna quello che è, bisogna il presente
Siamo costantemente sottoposti a pericoli. La fragilità è costitutiva dell’esperienza umana. Essere e agire comporta di per sé l'assunzione di rischi.
Le centrali nucleari rappresentano un'importante fonte di approvvigionamento energetico e contestualmente un pericolo per la salute umana. Ne intuisco il valore e i rischi.
Interpreto l''evento giapponese' nel seguente modo: si è verificata una possibile, benché remota, situazione che ha prodotto effetti catastrofici. Purtroppo è accaduto. Si può solo provare a ridurre il danno e imparare dall’esperienza.
È triste osservare ciò che si è mosso tutt’intorno. Venuta meno la possibilità di negare l’evento, non potendo ‘far finta di nulla’, siamo (s)caduti nella critica della tecnica e del progresso, cercando il colpevole: chi ha costruito la centrale, chi l'ha gestita, chi l’ha voluta, fino a chi ha deciso la politica energetica. Abbiamo avuto bisogno, insomma, di individuare un colpevole per giustificare l'accaduto, soprattutto per esorcizzare il rischio.
Provo a trascendere il terremoto e lo tsunami, anche gli effetti del sisma sulla centrale di Fukushima, e, a partire dalla riflessione avviata da Claudio Magris e Angelo Panebianco, mi soffermo sulla crescente avversione al rischio, tanto più forte quanto il progresso rende maggiormente sicuri.
La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere, allo stesso modo il rischio diventa inaccettabile per chi non accoglie il limite dell’uomo. La specie umana esprime una presunzione di eternità che la rende irresponsabilmente scialacquatrice della vita. Questa protettiva incoscienza del pericolo caratterizza non solo gli individui, ma anche le civiltà, le culture, le società, certe di essere immortali.
Tutto, invece, appartiene alla ‘natura delle cose’. Bisognerebbe niente, bisogna quello che è, afferma Giovanni Lindo Ferretti: la vita come la morte, l’uso costruttivo come l'uso distruttivo delle risorse, lo sviluppo di una civiltà come la sua rovina.
Foto: La faccia ce la metto io?È triste osservare ciò che si è mosso tutt’intorno. Venuta meno la possibilità di negare l’evento, non potendo ‘far finta di nulla’, siamo (s)caduti nella critica della tecnica e del progresso, cercando il colpevole: chi ha costruito la centrale, chi l'ha gestita, chi l’ha voluta, fino a chi ha deciso la politica energetica. Abbiamo avuto bisogno, insomma, di individuare un colpevole per giustificare l'accaduto, soprattutto per esorcizzare il rischio.
Provo a trascendere il terremoto e lo tsunami, anche gli effetti del sisma sulla centrale di Fukushima, e, a partire dalla riflessione avviata da Claudio Magris e Angelo Panebianco, mi soffermo sulla crescente avversione al rischio, tanto più forte quanto il progresso rende maggiormente sicuri.
La morte è insopportabile per chi non riesce a vivere, allo stesso modo il rischio diventa inaccettabile per chi non accoglie il limite dell’uomo. La specie umana esprime una presunzione di eternità che la rende irresponsabilmente scialacquatrice della vita. Questa protettiva incoscienza del pericolo caratterizza non solo gli individui, ma anche le civiltà, le culture, le società, certe di essere immortali.
Tutto, invece, appartiene alla ‘natura delle cose’. Bisognerebbe niente, bisogna quello che è, afferma Giovanni Lindo Ferretti: la vita come la morte, l’uso costruttivo come l'uso distruttivo delle risorse, lo sviluppo di una civiltà come la sua rovina.
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