Ragazzi ribellatevi. Questo è l'invito che Alfredo Reichlin rivolge ai giovani.
Non è nella mia indole istigare a reagire, ma è doveroso riconoscere l'esistenza di una questione generazionale non più ignorabile.
Benché per me sia chiaro che dovrò lavorare finché ne avrò le forze (rispetto ai 52 anni di mio padre), che il mio reddito da pensionato sarà inferiore al 50% del reddito da lavoratore (rispetto all'80% di mio padre), riconosco che ho avuto la possibilità di fruire di condizioni che mi hanno permesso di avviare il mio percorso di vita. Ma per chi è venuto dopo di me la situazione è peggiore.
Le generazioni che si stanno approssimando alla vita adulta stanno vivendo il dramma di un futuro senza certezze. In particolare su codeste generazioni stanno confluendo gli esiti di decenni di scelte sociali e individuali basate su ipotesi di continuo e crescente benessere e, venuta meno la 'crescita', chi non ha diritti già acquisiti, cioè i giovani, ne pagano le maggiori conseguenze. Questa deriva sta creando una profonda ingiustizia.
Viene soprattutto alla luce - come afferma Valentina Strada – che è stato perso il valore del lavoro, la sua dignità, il suo ruolo nella crescita individuale e nella società. La congiuntura economica, quella che ha ridotto i posti di lavoro e, contestualmente, allungato la vita lavorativa delle persone, impone di ripensare il lavoro: divenuto risorsa scarsa perde il suo essere scontato, diritto acquisito e riemerge il valore di strumento abilitante lo sviluppo della vita.
Ma è ancora assente una assunzione di responsabilità di tutto questo, ancor meno l'impegno a farsene carico. Allora mi associo a Reichlin auspicando che chi sta subendo tali conseguenze faccia sentire la sua voce, anche la comprensibile rabbia.
Foto: abbandono
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