giovedì 13 gennaio 2011

La potenza e i limiti dell'implicito

Detesto i cliché, le semplificazioni, le facili valutazioni.
Abortire è un omicidio oppure un atto che riduce il danno? Avere molti figli è generosità, apertura alla vita, oppure un atto d’incoscienza? Arruolarsi, andare a combattere e, forse, morire – come è accaduto a Miotto in Afganistan – è eroico oppure buttare la vita al vento?
L’implicito è potente. Traccia i confini tra ‘giusto’ e ‘sbagliato’, impone risposte predefinite alle varie questioni della vita, definisce ‘cosa dire’ e ‘cosa fare’. Indicazioni potentissime, tali da indirizzare le scelte e i comportamenti delle persone.
La disponibilità di regole è un valore: rassicura le persone, risponde all’esigenza di sentirsi ‘a posto' con se stessi e con gli altri. Ma contestualmente le regole rappresentano un ostacolo perché impongono rappresentazioni fisse della realtà, ingessandola. Mi rendo conto dell’ambivalenza, dell’essere io stesso sia beneficiario che detrattore di queste regole: da una parte attento fruitore in modo da risultare adeguato e inattaccabile, dall'altro infastidito dalle loro maglie strette. Detesto infatti ogni costrizione, ogni limitazione della mia espressione e della mia libertà di scelta.
E' chiaro che uscire da queste maglie, cioè optare per linee di vita non allineate e distintive comporta la valutazione, la collocazione nella categoria del ‘bene’, ma soprattutto in quella del ‘male’. Non mi preoccupa la valutazione in sé, che è inevitabile, mi urta la valutazione spicciola e banale, quella che considera 'giusto' o 'sbagliato' il solo fatto di fare o non fare certe cose. La valutazione, invece, deve avvenire rispetto alla capacità o meno di sviluppare serenità e benessere, di fare scelte capaci di creare valore per se stessi e per gli altri. E ciò passa attraverso l'agire conformemente a ciò che si è in sintonia con il contesto di riferimento.

Foto: Remix Bicentenario

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