venerdì 20 marzo 2015

La deriva dell'inutile: il "buon senso" travolto dall'esigenza di sopravvivere

Tergiversare per perdere tempo; motivare l'ingiustificabile pur di far accadere ciò che si vuole; istituire commissioni o tavoli di lavoro per fingere di fare le cose; manipolare le informazioni pur di ostacolare l'operato altrui.
Spesso ci si imbatte, risultandone complici, in pratiche sviate dagli obiettivi prefissati.
Gli apparati - enti, organizzazioni, istituzioni - sono terreno fertile per tutto questo, fino ad assumere la connotazione di "burocrazia demenziale e ottusa": condizione ideale per pratiche di corruzione e concussione, tanto discusse e deprecate, ma ostinatamente presenti, irriducibili, mai sopite. 
Derive che vanno di pari passo con l'affermazione di una selezione della classe dirigente basata più sull'appartenenza che sul merito e con logiche di continuità nelle governance che non favoriscono processi di alternanza e ricambio.
Insomma, siamo circondati da un mondo di inutilità: energie dilapidate, impiego distolto di risorse, intelligenze disorientate. Inefficienza e inefficacia.
In ogni caso tali agiti presuppongono in sé specifiche abilità e competenze. Ma per raggiungere quale fine?
Abbandonato il compito primario, si ripiega verso quello secondario, cioè la sopravvivenza di se stessi e dell'istituzione di appartenenza, ingaggiando una vera e propria lotta di potere latente: difendere la posizione acquisita, ovvero affermarla sempre di più, sia la propria che quella di ciò che si rappresenta.
Ecco l'allargamento della forbice, mismatch, tra "domanda", cioè il fabbisogno emergente dalla realtà, e "risposta", cioè gli atti e gli strumenti messi in atto per affrontare le istanze. L'esito sono agiti non tanto volti a dare risposte fattive alle esigenze bensì ad assicurare e sostenere l'esistente: garantire ruoli, funzioni, tool, siatemi in essere. Strutture e sovrastrutture.
Ecco la degenerazione del concetto di "utilità". Utile infatti è ciò che crea valore, ma il valore può essere materiale oppure immateriale; il primo è chiaro e controllabile, si può anche misurare, non quello intangibile che ha natura astratta. L'utilità immateriale è relativa, fortemente ambivalente e variabile con i tempi. Su questa ambivalenza trova spazio l'ambiguità dell'agire, fino allo sdoganamento di comportamenti opportunistici, manipolatori, anche menzogneri.

Foto: sopravvivenze


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