Sono partigiano, ma contemporaneamente, per quanto nelle mie possibilità, al di sopra delle parti. Mi piace provare a comprendere le ‘cose’, ancor più quando mi trovo ad esserne parte, a provare emozioni.
Rifuggo le 'facili conclusioni'. Non fanno per me. Ogniqualvolta mi ci imbatto, provo fastidio e avversione. Le 'facili conclusioni' si collocano a debita distanza dalla ‘realtà delle cose’: la spezzettano, la semplificano, spesso la banalizzano, impedendo di cogliere l’essenza, le istanze fondamentali.
Le 'facili conclusioni' sono, però, un fenomeno interessante e significativo: rappresentano gli odori e gli umori del momento. I bar, le piazze, le location delle macchinette del caffè e, oggi, i social network sono il loro naturale setting. Lo sport, la moda, oggigiorno, la politica sono le tematiche catalizzatrici: metafore sulle quali proiettare le istanze della propria vita. Ecco il perché della concentrazione di attenzione, interesse e remunerazione su questi temi.
In tali setting, solo in questi, diventa legittimo esprimere 'facili conclusioni'. Il contenuto va in secondo piano in favore del processo: modalità di espressione, strumento di relazione, occasione di incontro. Meta-comunicazione e meta-contenuto. E' la risposta al bisogno profondo di sentirsi vivi, di esprimersi, di percepire di esserci. Sopravvivenza.
Altra cosa è chiamare le cose per quello che sono, utilizzare un linguaggio diretto, appunto ‘stare sul pezzo’, ‘prendere il toro per le corna’.
È difficile, molto difficile. Non è da tutti.
Implica accettare ogni cosa per quella che è, che non significa condividerla, bensì riconoscere la sua ragion d’essere. Implica – come ama affermare Edgar Morin – l’accoglienza della complessità delle situazioni, il saper mettere assieme le diverse discipline, implica – utilizzando l’epiteto che Eugenio Scalfari ha accostato a Miriam Mafai – un atteggiamento di ‘irriverenza meditata e matura’.
Ma soprattutto implica ‘pulizia’ e ‘misura’: pulizia di pensiero e d’animo; misura di parole e toni. Infatti, tutto è dicibile a patto di mantenere un rigoroso rispetto di tutto e di tutti, anche di se stessi; tutto è dicibile a patto di camminare sul filo, con la presunzione di poterci stare sopra ma senza l'obiettivo di non cadere, piuttosto, predisponendosi a risalire di fronte ad ogni caduta. Senza giustificazioni e, qualora necessario, scusandosi.
Foto: identità nascoste
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