venerdì 21 ottobre 2011

Voglia di leggerezza

Basta, basta, basta.
Una parola ripetuta più volte in modo secco e ritmato.
Il messaggio è arrivato diretto, chiaro, senza possibilità di replica e discussione. E' tempo di mollare la presa, di lasciare andare le cose, di fidarsi di ciò che avviene.
Questa situazione mi ricorda la reazione di un ragazzino qualche decennio fa di fronte alle mie sollecitazioni: "Basta, non voglio più pensare!".
E' il raggiungimento del limite dell'andare a fondo delle 'cose', dell'analisi e dell'approfondimento: non è necessario capire tutto e tutti. La vita fa il suo corso, indipendentemente da se stessi e dalla consapevolezza. Anzi, l'attività di pensiero può essere ridondante, distorsiva, bloccante, ostativa del procedere, dell'evoluzione
Tutto ciò è spiazzante.
Pormi domande è un tratto distintivo: "Perché il tal dei tali fa questa affermazione?", oppure, "Perché avviene questo fenomeno?", ancora, "Perché provo questa emozione?". Ambire a cogliere pezzi di senso e di significato delle 'cose' è esito di un lungo percorso fatto di ascolto (di se stessi), osservazione (di quanto accade attorno), prova (nel toccare tasti inediti e nel mettere i piedi in posti diversi) e approfondimento (confrontandosi con le riflessioni altrui). Ne ho fatto una questione vitale, utile per difendermi e sopravvivere alle sollecitazioni della quotidianità, abilitante ad assumere ruoli e posizioni nella vita sociale e professionale.
Ma non basta. Anzi, rischia di essere fuorviante, alimenta la presunzione e l'illusione di essere determinanti nello sviluppo delle 'cose'.
Si può solo ambire, nel caso in cui si posseggano buone capacità e si fruisca di una posizione di partenza favorevole, a stare dentro questo divenire, ricoprendo un ruolo nella sceneggiatura già definita. Ma non si è mai veri protagonisti, bensì strumenti di uno sviluppo che procede lungo la sua via.
La consapevolezza dei vincoli della cognizione è fondamentale. E' il limite umano.
Lo sviluppo della storia ha condotto l'essere umano ad assumere una posizione che è andata troppo al di là, che non permette più di avere occhi limpidi e liberi di vedere la realtà, per quella che è. Fermiamoci. Anzi, facciamo un passo indietro. E' il momento dell'attesa, della sospensione del pensiero.

4 commenti:

  1. Complimenti. Sono parole di verità. Lasciamo andare... lasciamo il controllo... fidiamoci di come andrà a finire.

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  2. Fidarsi di come andrà a finire presuppone la certezza che la realtà abbia un occhio di riguardo per l'Uomo, ma in un mondo in cui un bimbo muore di cancro questa certezza è perlomeno discutibile, se non del tutto illusoria.
    Pensare è fatica e pericolo e tante volte ci verrebbe da gettare la spugna, di abdicare alla specialità umana del pensiero, per lasciarsi andare: ognuno è libero di farlo, ma non si illuda che gli giovi.
    Noi possiamo determinare la realtà seppur entro strettissimi limiti: la consapevolezza ci permette di farlo al meglio. Chi pensa di non poter far nulla, come chi crede di poter decidere tutto commette lo stesso errore.
    L'Uomo è Pensiero, ma nessun uomo è obbligato ad essere umano.
    Se vi incuriosisce un test concreto: provate a fare una discesa in kayak di un torrente. La corrente vi porta a valle senza scampo, ma pagaiando, con sforzo e allenamento, qualche manovra riuscite a farla: lasciatevi invece andare alla corrente, stanchi di far fatica, e vedete come ne uscite.

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  3. @ CC
    E' una questione di misura, di giusta misura.
    Da una parte non possiamo non accettare il limite dell'umano, riconoscendolo per ciò che è; dall'altro abbiamo il dovere di non abdicare al possibile. E' in questo equilibrio che si gioca il senso e il significato della nostra esistenza. Un equilibrio diverso da persona a persona in quanto la dotazione di capacità è diversa, non esiste cioè un assoluto ma buone - accontentiamoci di sufficienti - coniugazioni individuali.

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  4. direi che è una arbitraria (o libera) misura, il punto che una persona sceglie tra il non accettare i propri limiti e il tentare tutto il possibile.
    Le parole a cui rispondevo io (e se tu, come dici, hai il gusto della parola non puoi non rispettarne il senso) erano estreme: lasciare il controllo significa LASCIARE (va bene che in Italia quando qualcuno lascia in realtà non lascia mai davvero...specie il potere). So che quelle parole, come quelle a cui si riferivano, sono solo uno sfogo, perchè nessuno si abbandona veramente a ciò che verrà: nessuno, di chi dice di volerlo fare, ci regalerà mai il proprio portafoglio, perchè si fida di più di ciò che verrà se avrà i suoi soldi intasca.
    Io volevo osservare come questa posizione estrema non sia realisticamente umana, quindi il proclamarla è un uso retorico ma falso e (involontariamente) irrispettoso delle parole.

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